Batto un colpo

Mi domando perché sia così difficile districarsi nella giungla dei rapporti umani.

Mi domando come si possa smettere di avere paura di noi stessi, degli altri, di ogni ombra.

Mi domando perché non si impari ad essere leali, sinceri, non si riesca ad affrontare a testa alta il risultato delle proprie azioni, perché sia sempre più facile svicolare, abbassare lo sguardo, fingere che sia diverso dalla realtà. Perché non siamo più in grado di esprimere quello che pensiamo, restiamo a covarlo come un uovo che non verrà mai trovato. Restiamo a roderci dentro per quello che riteniamo ingiusto o opprimente, senza avere il coraggio di tirare fuori la voce ed opporci allo scorrere delle cose, sopraffatti dalla paura e dall’ottundimento emotivo. Ingoiamo merda a vagonate, senza trovare la forza di sputarla fuori insieme alle idee per ricacciarla indietro. Indifferenti e smorti, incapaci di cambiare o anche solo di provarci. Assenti fantasmi di fronte alle brutture del mondo. Intimoriti e spaventati da quello che potremmo pensare, agire, sognare, dalle rogne che potremmo dover affrontare se cerchiamo di sovvertire un ordine costituito che non riconosciamo come nostro. Indifferenti davanti alla perdita della nostra cultura, della nostra storia, del nostro Paese, dei nostri diritti, assistiamo con le orbite vuote all’avvicendarsi degli eventi.

Dov’è finita la nostra capacità di reazione? L’amore per gli ideali? Il credo nella vita che è unica ed irripetibile? La capacità di godere delle cose che facciamo, di emozionarci, la voglia di sperimentarle sulla pelle. Massa di corpi acefali, trincerati dietro uno schermo che riprende la realtà in ogni frazione di secondo, per postarla, condividerla, commentarla. Senza voce per esprimere quei commenti, senza cuore per condividere quelle sensazioni con le persone reali che ci sfilano intorno ogni attimo senza che si pensi di fermarle per chiedere “come stai?”. Come se i ricordi non fossero quelli che si imprimono nella retina o sulla pelle, ma una serie di immagini riprese male, che possiamo riproporre milioni di volte nello schermo del telefonino. E intanto il nostro sguardo è filtrato, le nostre sensazioni attutite e non sappiamo più godere di quel momento che cerchiamo di imprimere su una memoria digitale… succedaneo mal riuscito della nostra di memoria, che lasciamo ad impolverarsi in soffitta.

Mi domando perché gli uomini abbiano paura di confrontarsi con donne in grado di tenere loro testa. Perché preferiscano le ragazzine ancora spaurite e dai grandi occhi di cerbiatto, che credono ai loro giochi di prestigio come avremmo fatto tutte noi alla loro età. Cosa può spaventare, al punto da rifuggirla, in una relazione con una persona che abbia i tuoi stessi problemi quotidiani, il disincanto e la disillusione, che non crede più in “Sole, Cuore e Ammmore” ma crede nella condivisione e nel confronto. E perché le donne continuino a fingere quello che non sono più, a riproporre clichè vuoti e privi di senso, a rincorrere falsi miti e a trincerarsi dietro ruoli predefiniti o sogni infranti, restando imprigionate in loro stesse e nei loro falsi sorrisi per evitare di affrontare “la vita ed il suo travaglio”.  Quale sia il valore aggiunto di riproporre all’infinito le emozioni dei vent’anni, perdendo irrimediabilmente quelle dei quaranta, trenta, cinquanta… privandosi di qualcosa che non potrà tornare, restando imprigionati in un’eterna adolescenza per paura di affrontare a volto scoperto la vita per quello che può offrire procedendo nel cammino e sorridendo al cambiamento di se stessi, del proprio corpo e della propria anima.

Mi domando se sono io, a vederla così. Se sono io a non capire, a soffrire, a pensare che dovremmo scuoterci dal torpore, iniziando ognuno dal suo piccolo spazio per arrivare a smuovere masse d’aria sempre più voluminose e alla fine tornare a vivere questa vita, questo mondo, questo tempo. Spegnere gli schermi, uscire a guardare il cielo, passeggiare per le strade delle proprie città, chiacchierare con un anziano, bere con degli amici e parlare della nostra povera terra martoriata, andare a lavoro e credere di poter fare la differenza, esprimere la propria opinione, opporsi all’ordine costituito se questo non rispetta l’uomo. Vivere le relazioni umane a volto scoperto e con il cuore in mano. Ascoltare il proprio interlocutore e cercare di comunicare, spiegare e capire o almeno sforzarsi di farlo. Godere di un’emozione senza volerla imprigionare, ricordarla per quello che è, completa di suoni, odori, colori e sfumature come solo la memoria umana può fare.

Mi domando quanti vorrebbero fermare la giostra e scendere per sedersi sull’erba verde.

Batto un colpo.

 

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7 risposte a "Batto un colpo"

  1. non sei tu, a vederla così, non sei solo tu. da un po’ mi sono accorto che il “no” è diventata la mia sillaba preferita. ormai considero il mio post “dico no” come un mio personale manifesto.
    eppure, eppure, temo di pensare che questa deriva sia solo il risultato di una naturale evoluzione dell’uomo, che non c’è nulla di strano o di sorprendente, che siamo una specie marcia, nata storta, e in un modo o nell’altro qui dovevamo finire: intrappolati nei nostri stessi schermi, nelle nostre gerarchie, nella nostra arroganza.
    vivo il quotidiano in quella finestra di speranza che sempre lasciamo (giocoforza) ad ogni nostro pensiero distruttivo. ma è una finestra molto stretta (…come le finestre anti-suicidio degli ospedali).

    • Sull’estinzione della razza umana ho riflettuto molto. Sulla reale necessità della nostra specie, sul nostro essere dei parassiti niente di più, niente di meno (hai letto “Il mondo senza noi”?). E questa deriva che tutto prende, questo caracollare delle cose nell’indifferenza generale forse, come dici tu, è solo un passo verso la fine di un essere che implode su se stesso, sulla sua incapacità di guardare più in là del suo naso, sulla sua mancanza di comprensione e sulla sua stupidità profonda. Eppure mi fa arrabbiare. Mi fa arrabbiare lo spreco di potenzialità. Mi fa arrabbiare perché ancora, guardandomi intorno, trovo che ci siano elementi straordinari in questo insulso animale bipede. Mi fa arrabbiare perché quella finestra piccola ancora fa entrare della luce, quando il sole splende alto. E vorrei aprirla questa cavolo di finestra e buttare giù le pareti e fare entrare l’aria e… chissà cosa vorrei fare. Forse solo sperare che si possa intraprendere un’altra strada, forse solo non rimanere immobile.

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